donquixote
2010-05-26 23:11:52 UTC
Messainlatino
La Risurrezione, l'Ascensione e mons. Ravasi.
Con qualche disputazione.
Alcuni anni orsono, molte critiche si levarono nei confronti
dell'allora bibliotecario dell'Ambrosiana, e oggi presidente
del Pontificio Consiglio per la Cultura, il versatile e colto
mons. Ravasi
http://tinyurl.com/369e4jh
(il quale, per inciso, è in predicato per la successione a Tettamanzi).
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L'accusa: aver messo in dubbio la realtà fisica della Risurrezione
di Cristo in un articolo, pensate un po', del Sole 24 Ore (31.3.2002),
dal titolo ambiguo: "Non è risorto, si è innalzato".
L'Autore spiegò che il titolo era stato scelto senza il suo parere
dal redattore del giornale, come in effetti normalmente avviene,
laddove il testo spiegava invece che la Risurrezione di Gesù
non fu semplice 'rianimazione di cadavere' come per Lazzaro,
bensì molto di più, come leggerete.
Tuttavia un articolo di Disputationes theologicae, apparso
in questi giorni, approfondisce il tema e porta a vedere
un più profondo pericolo di ambiguità in molte ricostruzioni,
non esclusa quella di Ravasi, che con formule non sempre nette
trattano della Risurrezione di Cristo in temini che sembrano
sminuire la sua evidenza naturalistica.
Spieghiamo meglio: per l'orientamento della teologia liberale
che si rifà a Bultmann, la Risurrezione è bensì reale (il termine
viene usato ancora) ma solo agli occhi della Fede; soltanto
grazie alla trasformazione soggettiva operata dalla fede
in Gesù Cristo è possibile l'incontro, nel proprio animo,
del Risorto.
In poche parole: non c'è un Gesù Cristo risorto che può esser
visto da chiunque, credente o non credente, da Pietro o da Caifa,
indifferentemente. Solo chi già ha fede può vedere Gesù,
con gli occhi dell'anima.
Come dire, in termini terra-terra: la Fede diventa una sorta
di occhialini da realtà virtuale per vivere l'incontro con Gesù
(e di qui a dire che i testimoni della Resurrezione ebbero
delle mere allucinazioni indotte dal fervore e dal fanatismo,
c'è un passo nemmeno lungo: quello che ha compiuto il vescovo
Noyer nell'articolo che abbiamo riportato poco tempo fa).
Tutto questo, naturalmente, si allontana dall'idea di una Resurrezione
reale, dove reale sta per sensibile, concreta, naturalistica: un Corpo
già morto che occupa uno spazio, che mangia, che si espone
al tatto di S.Tommaso e che chiunque (anche i farisei)
avrebbe potuto vedere.
http://tinyurl.com/39xabsb
E naturalmente, se viene meno la fisicità della Risurrezione,
perde credibilità l'evento dell'Ascensione: visto che Gesù risorto
era solo un'immagine nella mente dei fedeli, non ha più senso
immaginare una sua corporea elevazione dalla terra al cielo.
Ecco perché il testo di Disputationes parla di dogma negato
dell'Ascensione. Alla luce di quelle considerazioni e approfondimenti,
si legge con qualche inquietudine supplementare l'articolo di Ravasi
(che riportiamo in calce), disseminato di espressioni ortodosse
ma pure di ambigue pennellate che lasciano molti dubbi
(tipo: "L'ascensione-esaltazione-innalzamento non è, quindi,
da concepire in termini materialistici o 'astronautici', ma secondo
categorie metafisiche e teologiche"; od anche: "con la morte Egli
[Gesù Cristo] conclude la sua parabola storica, ma è 'esaltato',
cioè rientra nel mondo divino").
E a questo punto ricordiamoci di quanto riferiva l'abbé Barthe
in merito alla storicità, negata da Ravasi, del Gesù narrato dai Vangeli:
Joseph Ratzinger nella prefazione al Gesù di Nazaret aveva scritto
per gli eredi di Bultmann: "Ho voluto tentare di presentare il Gesù
dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico in senso
vero e proprio."
Ma nell'introduzione alla nuova edizione Gianfranco Ravasi
cita così il Papa: "Ho voluto fare il tentativo di presentare
il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale".
Punto.
E Mons. Ravasi commenta questa citazione tronca - troncata
in ciò che gli dà la sua forza - in modo sconcertante,
"Notiamo l'aggettivo 'reale': non è automaticamente sinonimo
di 'storico', perché noi sappiamo che molti eventi non sono registrati,
suscettibili d'essere documentati e verificabili storicamente,
anche se risultano profondamente reali".
Si può immaginare l'emozione a Roma e in Italia.
"Per il Papa 'reale' è sinonimo di 'storico', per il suo Ministro
della Cultura, no!" ironizzava Massimo Pandolfi ne La Nazione
(21 ottobre 2008).
Leggiamo ora l'articolo di Ravasi.
NON È RISORTO, SI È INNALZATO
di Gianfranco Ravasi
Un fatto che si radica nella storia, ma che va letto
con categorie teologiche
L'immagine di un Cristo sfolgorante di luce che si libra
sul sepolcro, dopo averne scardinato la pietra tombale,
non è evangelica ma è attinta solo ai primi testi cristiani apocrifi.
Forse una frase come questa suona eterodossa ed "ereticale"
agli orecchi di non pochi nostri lettori che negli occhi hanno
la possente fisicità della Risurrezione di Cristo che Piero
della Francesca dipinse nel 1463 nella sala dell'antico palazzo
comunale del suo paese natale, Borgo Sansepolcro.
E, invece, la frase è ineccepibile ed è proprio da questa reticenza
descrittiva dei Vangeli canonici che vorremmo avviarci
per una riflessione sulla Pasqua, evento e articolo di fede
centrale del cristianesimo.
Partiamo, allora, da quell'alba ancora incerta
di una primavera tra il 30 e il 33.
Tre sono gli elementi registrati dal racconto evangelico.
Ecco innanzitutto farsi avanti un gruppo di donne, seguaci
di Gesù. Siamo di fronte a un dato storico incontrovertibile:
essendo, secondo il diritto semitico, le donne inabilitate
alla testimonianza valida, giuridica o storica, gli evangelisti
non avrebbero mai "inventato" una simile attestazione,
affidata a persone "incapaci" di testimoniare, se essa
non fosse stata nella nuda e semplice realtà dei fatti.
Veniamo, così, al secondo dato: la pietra che sigillava
l'apertura della tomba - secondo la rilevazione attestata
da quelle donne - giace ribaltata.
L'evangelista Giovanni aggiunge una nota ulteriore sull'interno
di quel sepolcro così come appare a un testo successivo, Pietro:
"Vide le bende per terra e il sudario, che era stato posto sul capo
di Gesù, non per terra con le bende ma piegato in un luogo a parte"
(20, 6-7). Dunque, una tomba vuota che conserva le tracce
di un morto ormai non più presente.
Ecco, infine, il terzo elemento narrato dai Vangeli, una teofania,
cioè un'esperienza trascendente, rappresentata da una figura angelica
che proclama le stesse parole del successivo Credo cristiano:
"È risorto!". Una formula che ha lo scopo di spiegare
quella tomba vuota.
Siamo, a questo punto, nel cuore del problema che suscita
un grappolo di domande alle quali potremo dare ovviamente
solo un abbozzo di risposta (biblioteche intere di storiografia,
esegesi e teologia lo hanno già fatto in modo ben più sistematico).
Che senso ha l'espressione "risorto dai morti"?
La formula "risurrezione di Cristo" usata dai Vangeli
e dalla tradizione cristiana comprende un evento storico
o è solo una categoria ermeneutica, cioè un'interpretazione
teologica di una realtà trascendente? E il termine "risurrezione"
è l'unico usato per descrivere la Pasqua di Cristo?
Innanzitutto sottolineiamo che per il Nuovo Testamento
la misteriosa vicenda finale di Cristo non può essere ricondotta
alla rianimazione pura e semplice di un cadavere, come quelle
compiute da Gesù nei confronti di Lazzaro (Giovanni 11)
e del figlio della vedova di Nain (Luca 7, 11-17).
Ora, noi siamo di fronte a un evento che ha contorni verificabili
storicamente (la tomba vuota, i lini abbandonati, la testimonianza
delle donne) ma il cui nucleo è trascendente.
C'è, dunque, anche il ritorno alla vita di Gesù morto, ma ciò
che accade in quell'atto, non descritto dai Vangeli, è - per usare
un'immagine di Gesù - simile a quanto avviene al seme o al lievito.
Si ha una trasformazione che va oltre il corpo di Gesù e incide
su tutto l'essere e sulla storia.
Nella lettura evangelica di quell'evento la divinità, la trascendenza,
l'eterno e l'infinito, attraverso Cristo, Figlio di Dio, sono penetrati
nella realtà intera dell'umanità e nell'essere cosmico trasfigurandoli;
è un'irradiazione che feconda di eternità il nostro tempo.
Ora, per esprimere questo evento che incide nella storia
in modo non solo episodico ma radicale, il Nuovo Testamento
è ricorso a due linguaggi che cercano di esprimere ciò che è
di sua natura un "mistero", ossia una realtà trascendente
e superiore all'orizzonte umano.
Il primo è quello della risurrezione, un linguaggio già noto
all'Antico Testamento: basterebbe leggere il capitolo 37
di Ezechiele ove, in una visione surreale, il profeta descrive
lo Spirito creatore di Dio che ritesse su una distesa di scheletri
la carne della vita, dando origine a un immenso popolo vivente.
Il Nuovo Testamento esprime la "risurrezione" con il verbo eghéirein,
"risvegliare" dalla morte, simbolicamente inteso come un sonno,
oppure con il verbo anístemi, "levarsi, sorgere in piedi".
Dietro il velo del linguaggio simbolico si vuole le indicare
che Gesù come uomo passa attraverso il segno radicale
dell'umanità, la morte, "risvegliandosi" alla vita divina
che gli appartiene e che ora pervade il morire, vincendolo.
C'è, però, un altro linguaggio, caro a Giovanni, a Luca
e a Paolo che è definito di esaltazione o glorificazione
ed è espresso con il verbo greco hypsoùn, "innalzare elevare",
e con immagini di ascensione verso l'alto.
Basterebbe citare tre frammenti giovannei: "Come Mosè
innalzò nel deserto il serpente, cosi bisogna che sia innalzato
il Figlio dell'uomo... Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo,
allora saprete che Io Sono [Nome Divino]...
Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me"
(3, 14; 8, 28; 12, 32). Oppure basterebbe rievocare
il racconto dell'ascensione al cielo ribadito da Luca
nella finale del suo Vangelo (24, 50-53) e in apertura
alla sua seconda opera, gli Atti degli Apostoli (1, 6-12).
Il senso del linguaggio è chiaro. Con la "risurrezione"
si affermava la continuità tra il Gesù storico e il Cristo risorto;
con l' "esaltazione" si celebra la gloria divina del Risorto
e la novità del suo status.
Venendo in mezzo a noi, Gesù è divenuto in tutto simile a noi;
con la morte egli conclude la sua parabola storica, ma è "esaltato",
cioè rientra nel mondo divino a cui appartiene come Figlio di Dio,
attirando a sé quell'umanità che egli aveva assunto incarnandosi
e morendo per condurla alla gloria.
Questo è nitidamente dichiarato nell'inno che Paolo incastona
nella sua Lettera ai Filippesi (2, 6-11): "Cristo, pur essendo
di natura divina, spogliò se stesso assumendo la condizione
di servo (...), facendosi obbediente sino alla morte
e alla morte di croce. Per questo Dio lo ho esaltato
e gli ha dato un nome che è sopra ogni altro nome (...)
Così che nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra".
L'ascensione-esaltazione-innalzamento non è, quindi, da concepire
in termini materialistici o "astronautici", ma secondo categorie
metafisiche e teologiche: fra l'altro, in tutte le culture il cielo
è l'area della divinità perché trascende l'orizzonte terreno,
è il simbolo della superiorità e diversità di Dio rispetto all'uomo.
Quanto accade nella risurrezione di Cristo è, dunque, un evento
complesso, accuratamente rappresentato dai Vangeli.
È un evento che si radica nel tempo e nello spazio, è cioè
nella morte e in una tomba, e che perciò ammette
una verificabilità storica; ma esso fiorisce nell'eterno
e nel divino, ed è per questo che esige un'analisi nella fede
e nella teologia. Nella sua sostanza la Pasqua di Cristo
è una realtà trascendente e, come tale supera la pura
verifica storica.
Ma ha una risonanza efficace anche nella storia e nello spazio
ove rimangono tracce e segni, per cui ha una sua legittimità
anche un'investigazione di taglio storiografico.
Ora comprendiamo perché gli evangelisti si sono rifiutati
di ridurre quello che avviene al sepolcro di Cristo' entro
i confini di una rianimazione di cadavere e siano invece
ricorsi a linguaggi più profondi e simbolici.
Nelle sue Lettere di Nicodemo (1951) lo scrittore polacco
cattolico Jan Dobraczynski, morto nel 1994, fa una considerazione
che potremmo porre a suggello del nostro particolarissimo
e limitato itinerario nell'orizzonte pasquail cristiano:
"Vi sono misteri nei quali bisogna avere il coraggio di gettarsi,
per toccare il fondo, come ci gettiamo nell'acqua certi che essa
si aprirà sotto di noi. Non ti è mai parso che vi siano delle cose
alle quali bisogna prima credere per poterle capire?".
I racconti evangelici pasquali sono prima di tutto testi di fede
e, proprio per questa via, aprono la ricerca di una comprensione
che sia anche razionale e storica.
Il credere e il comprendere s'intrecciano in modo complesso
e delicato e costituiscono la struttura fondamentale della teologia
cristiana. Un filosofo, il gesuita Xavier Tilliette nella sua opera
la Settimana Santa dei filosofi (1922), scriveva che "la filosofia
deve attestarsi alla soglia delle apparizioni pasquali, al sabato santo.
Essa non deve testimoniare la Gloria. Occorre mantenere castamente
la frontiera, diceva il filosofo Schelling".
Certo, la filosofia e la storiografia non possono appropriarsi
delle vie della grazia e della fede. Tuttavia questo non impedisce
alla fede di agganciarsi alle vie della ragione e alla ragione
di guardar oltre le sue frontiere. Scriveva Agostino:
"Chiunque crede pensa e pensando crede...
La fede se non è pensata è nulla"
(De praedestinatione sanctorum 2, 5).
DANTE PASTORELLI
L'articolo di Ravasi già all'atto della pubblicazione suscitò reazioni.
Non c'è verità e non c'è eresia esplicitamente pronunciate,
ma ambiguità ed espressioni oppostamente interpretabili.
Tipico stile da modernista.
Come diceva S. Pio X: leggete una pagina e trovate
l'affermazione verace, girate la pagina e trovate l'eresia.
Ricordo le pagine della Nuova Esegesi in cui mons. Spadafora
menava fendenti su Ravasi biblista, che addirittura,
a proposito del frammento 7Q5, parlava di "poche lettere
ebraiche" per successivamente correggersi.
Ravasi era sodale all'Istituto Biblico di Segalla, secondo il quale
S. Giovanni non scrisse alcun Vangelo, di Byrne per cui Lazzaro
non fu resuscitato e Vanhoje per cui Gesù era un laico.
ambiguità
ambiguità: l'aspetto più pericoloso della tentazione sulla Fede,
proprio perchè l'affermazione ambigua non ostenta il falso
a cui tende, ma lo suggerisce in modo subdolo, tale
da non poter accusata apertamente di menzogna;
come uno che dice: "Qui l'ho detto e qui lo nego".
Il marcio sta proprio nell'essere ambigua,
come la lingua biforcuta del serpente antico.
Rileggere l'ottimo richiamo fatto da Pastorelli:
Non c'è verità e non c'è eresia esplicitamente
pronunciate, ma ambiguità ed espressioni
oppostamente interpretabili.
Tipico stile da modernista.
Come diceva S. Pio X: leggete una pagina
e trovate l'affermazione verace, girate la pagina
e trovate l'eresia.
Il verme della mela avvelenata del modernismo è precisamente
l'ambiguità, o ambivalenza, che già si mette al servizio di Satana,
usando l' efficace metodo di persuasione occulta, e rifiutando
per principio, il SI' SI' , NO NO , raccomandato da Nostro Signore
a chi vuol seguire solo la Verità, nient'altro che la Verità.
Ravasi... il pupillo di Martini
Mons. Ravasi era il "puledro vincente" della scuola di Martini,
anche in esegesi biblica.
Nella Scrittura non c'è più nulla di sicuro....
ma nulla è apertamente negato.....
giovanni
Ravasi leader dell'apostasia nella nostra Chiesa:uomo pericoloso.
Altro che futuro sucessore del Tetta, sara' meglio spedirlo
oltre Pantelleria e vestito da semplice prete: SUBITO
Cajétan
"piccoli scèm-born crescono"!
Santità, abbia pazienza.. ci ha chiesto di pregare perchè
non indietreggi di fronte ai lupi. Noi facciamo quel che possiamo..
Voglia, la Santità Vostra, almeno cercare di non promuoverli.
Ci vuol veramente lasciare in mano a questi figuri,
che stanno alla Verità come un giocatore alle tre carte.......?
adesso capisco
.....perchè parlando con una mia parrocchiana, siccome io contestavo
la validità delle riforme post-conciliari, causa di grande confusione
dottrinale e degrado della vera Fede, quella mi ha risposto:
"ma che dici, vuoi sminuire la grande fioritura di fede, sviluppo
di conoscenza e comprensione della Parola! specialmente pensa
a tante persone dotte e illuminate come Ravasi, grande dotto biblista!"....
e continuando nella discussione, sullo stesso filo d i argomenti, mi fa:
"Per esempio, tra le grandi aperture di cui siamo grati al Concilio
io ho capito anche questo: che nella Chiesa di oggi
dobbiamo rivalutare la grandezza di Lutero !....."
http://tinyurl.com/ag6qbj
------------------------------------------------------------------------------
"Quelli [il riferimento è ai modernisti, ma va bene pure per
gli eretici, i paraeretici, i "cattolici" adulti e adulterati,
gli pseudo-papi, gli anti-papi, i rosicanti per non essere
diventati papi, ecc.] vogliono che li si tratti con olio,
sapone e carezze.
Bisogna invece battersi a pugni.
In un duello non si contano, non si misurano i colpi:
si colpisce come si può!
La guerra non si fa con la carità: è una lotta, un duello.
Come se Nostro Signore non fosse stato terribile, non avesse
dato l'esempio anche in questo.
Come li ha trattati, i filistei, i seminatori di errore, i lupi vestiti
da agnello, i mercanti: li ha cacciati a colpi di staffile!"
Papa Giuseppe Sarto-San Pio X.
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La Risurrezione, l'Ascensione e mons. Ravasi.
Con qualche disputazione.
Alcuni anni orsono, molte critiche si levarono nei confronti
dell'allora bibliotecario dell'Ambrosiana, e oggi presidente
del Pontificio Consiglio per la Cultura, il versatile e colto
mons. Ravasi
http://tinyurl.com/369e4jh
(il quale, per inciso, è in predicato per la successione a Tettamanzi).
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L'accusa: aver messo in dubbio la realtà fisica della Risurrezione
di Cristo in un articolo, pensate un po', del Sole 24 Ore (31.3.2002),
dal titolo ambiguo: "Non è risorto, si è innalzato".
L'Autore spiegò che il titolo era stato scelto senza il suo parere
dal redattore del giornale, come in effetti normalmente avviene,
laddove il testo spiegava invece che la Risurrezione di Gesù
non fu semplice 'rianimazione di cadavere' come per Lazzaro,
bensì molto di più, come leggerete.
Tuttavia un articolo di Disputationes theologicae, apparso
in questi giorni, approfondisce il tema e porta a vedere
un più profondo pericolo di ambiguità in molte ricostruzioni,
non esclusa quella di Ravasi, che con formule non sempre nette
trattano della Risurrezione di Cristo in temini che sembrano
sminuire la sua evidenza naturalistica.
Spieghiamo meglio: per l'orientamento della teologia liberale
che si rifà a Bultmann, la Risurrezione è bensì reale (il termine
viene usato ancora) ma solo agli occhi della Fede; soltanto
grazie alla trasformazione soggettiva operata dalla fede
in Gesù Cristo è possibile l'incontro, nel proprio animo,
del Risorto.
In poche parole: non c'è un Gesù Cristo risorto che può esser
visto da chiunque, credente o non credente, da Pietro o da Caifa,
indifferentemente. Solo chi già ha fede può vedere Gesù,
con gli occhi dell'anima.
Come dire, in termini terra-terra: la Fede diventa una sorta
di occhialini da realtà virtuale per vivere l'incontro con Gesù
(e di qui a dire che i testimoni della Resurrezione ebbero
delle mere allucinazioni indotte dal fervore e dal fanatismo,
c'è un passo nemmeno lungo: quello che ha compiuto il vescovo
Noyer nell'articolo che abbiamo riportato poco tempo fa).
Tutto questo, naturalmente, si allontana dall'idea di una Resurrezione
reale, dove reale sta per sensibile, concreta, naturalistica: un Corpo
già morto che occupa uno spazio, che mangia, che si espone
al tatto di S.Tommaso e che chiunque (anche i farisei)
avrebbe potuto vedere.
http://tinyurl.com/39xabsb
E naturalmente, se viene meno la fisicità della Risurrezione,
perde credibilità l'evento dell'Ascensione: visto che Gesù risorto
era solo un'immagine nella mente dei fedeli, non ha più senso
immaginare una sua corporea elevazione dalla terra al cielo.
Ecco perché il testo di Disputationes parla di dogma negato
dell'Ascensione. Alla luce di quelle considerazioni e approfondimenti,
si legge con qualche inquietudine supplementare l'articolo di Ravasi
(che riportiamo in calce), disseminato di espressioni ortodosse
ma pure di ambigue pennellate che lasciano molti dubbi
(tipo: "L'ascensione-esaltazione-innalzamento non è, quindi,
da concepire in termini materialistici o 'astronautici', ma secondo
categorie metafisiche e teologiche"; od anche: "con la morte Egli
[Gesù Cristo] conclude la sua parabola storica, ma è 'esaltato',
cioè rientra nel mondo divino").
E a questo punto ricordiamoci di quanto riferiva l'abbé Barthe
in merito alla storicità, negata da Ravasi, del Gesù narrato dai Vangeli:
Joseph Ratzinger nella prefazione al Gesù di Nazaret aveva scritto
per gli eredi di Bultmann: "Ho voluto tentare di presentare il Gesù
dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico in senso
vero e proprio."
Ma nell'introduzione alla nuova edizione Gianfranco Ravasi
cita così il Papa: "Ho voluto fare il tentativo di presentare
il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale".
Punto.
E Mons. Ravasi commenta questa citazione tronca - troncata
in ciò che gli dà la sua forza - in modo sconcertante,
"Notiamo l'aggettivo 'reale': non è automaticamente sinonimo
di 'storico', perché noi sappiamo che molti eventi non sono registrati,
suscettibili d'essere documentati e verificabili storicamente,
anche se risultano profondamente reali".
Si può immaginare l'emozione a Roma e in Italia.
"Per il Papa 'reale' è sinonimo di 'storico', per il suo Ministro
della Cultura, no!" ironizzava Massimo Pandolfi ne La Nazione
(21 ottobre 2008).
Leggiamo ora l'articolo di Ravasi.
NON È RISORTO, SI È INNALZATO
di Gianfranco Ravasi
Un fatto che si radica nella storia, ma che va letto
con categorie teologiche
L'immagine di un Cristo sfolgorante di luce che si libra
sul sepolcro, dopo averne scardinato la pietra tombale,
non è evangelica ma è attinta solo ai primi testi cristiani apocrifi.
Forse una frase come questa suona eterodossa ed "ereticale"
agli orecchi di non pochi nostri lettori che negli occhi hanno
la possente fisicità della Risurrezione di Cristo che Piero
della Francesca dipinse nel 1463 nella sala dell'antico palazzo
comunale del suo paese natale, Borgo Sansepolcro.
E, invece, la frase è ineccepibile ed è proprio da questa reticenza
descrittiva dei Vangeli canonici che vorremmo avviarci
per una riflessione sulla Pasqua, evento e articolo di fede
centrale del cristianesimo.
Partiamo, allora, da quell'alba ancora incerta
di una primavera tra il 30 e il 33.
Tre sono gli elementi registrati dal racconto evangelico.
Ecco innanzitutto farsi avanti un gruppo di donne, seguaci
di Gesù. Siamo di fronte a un dato storico incontrovertibile:
essendo, secondo il diritto semitico, le donne inabilitate
alla testimonianza valida, giuridica o storica, gli evangelisti
non avrebbero mai "inventato" una simile attestazione,
affidata a persone "incapaci" di testimoniare, se essa
non fosse stata nella nuda e semplice realtà dei fatti.
Veniamo, così, al secondo dato: la pietra che sigillava
l'apertura della tomba - secondo la rilevazione attestata
da quelle donne - giace ribaltata.
L'evangelista Giovanni aggiunge una nota ulteriore sull'interno
di quel sepolcro così come appare a un testo successivo, Pietro:
"Vide le bende per terra e il sudario, che era stato posto sul capo
di Gesù, non per terra con le bende ma piegato in un luogo a parte"
(20, 6-7). Dunque, una tomba vuota che conserva le tracce
di un morto ormai non più presente.
Ecco, infine, il terzo elemento narrato dai Vangeli, una teofania,
cioè un'esperienza trascendente, rappresentata da una figura angelica
che proclama le stesse parole del successivo Credo cristiano:
"È risorto!". Una formula che ha lo scopo di spiegare
quella tomba vuota.
Siamo, a questo punto, nel cuore del problema che suscita
un grappolo di domande alle quali potremo dare ovviamente
solo un abbozzo di risposta (biblioteche intere di storiografia,
esegesi e teologia lo hanno già fatto in modo ben più sistematico).
Che senso ha l'espressione "risorto dai morti"?
La formula "risurrezione di Cristo" usata dai Vangeli
e dalla tradizione cristiana comprende un evento storico
o è solo una categoria ermeneutica, cioè un'interpretazione
teologica di una realtà trascendente? E il termine "risurrezione"
è l'unico usato per descrivere la Pasqua di Cristo?
Innanzitutto sottolineiamo che per il Nuovo Testamento
la misteriosa vicenda finale di Cristo non può essere ricondotta
alla rianimazione pura e semplice di un cadavere, come quelle
compiute da Gesù nei confronti di Lazzaro (Giovanni 11)
e del figlio della vedova di Nain (Luca 7, 11-17).
Ora, noi siamo di fronte a un evento che ha contorni verificabili
storicamente (la tomba vuota, i lini abbandonati, la testimonianza
delle donne) ma il cui nucleo è trascendente.
C'è, dunque, anche il ritorno alla vita di Gesù morto, ma ciò
che accade in quell'atto, non descritto dai Vangeli, è - per usare
un'immagine di Gesù - simile a quanto avviene al seme o al lievito.
Si ha una trasformazione che va oltre il corpo di Gesù e incide
su tutto l'essere e sulla storia.
Nella lettura evangelica di quell'evento la divinità, la trascendenza,
l'eterno e l'infinito, attraverso Cristo, Figlio di Dio, sono penetrati
nella realtà intera dell'umanità e nell'essere cosmico trasfigurandoli;
è un'irradiazione che feconda di eternità il nostro tempo.
Ora, per esprimere questo evento che incide nella storia
in modo non solo episodico ma radicale, il Nuovo Testamento
è ricorso a due linguaggi che cercano di esprimere ciò che è
di sua natura un "mistero", ossia una realtà trascendente
e superiore all'orizzonte umano.
Il primo è quello della risurrezione, un linguaggio già noto
all'Antico Testamento: basterebbe leggere il capitolo 37
di Ezechiele ove, in una visione surreale, il profeta descrive
lo Spirito creatore di Dio che ritesse su una distesa di scheletri
la carne della vita, dando origine a un immenso popolo vivente.
Il Nuovo Testamento esprime la "risurrezione" con il verbo eghéirein,
"risvegliare" dalla morte, simbolicamente inteso come un sonno,
oppure con il verbo anístemi, "levarsi, sorgere in piedi".
Dietro il velo del linguaggio simbolico si vuole le indicare
che Gesù come uomo passa attraverso il segno radicale
dell'umanità, la morte, "risvegliandosi" alla vita divina
che gli appartiene e che ora pervade il morire, vincendolo.
C'è, però, un altro linguaggio, caro a Giovanni, a Luca
e a Paolo che è definito di esaltazione o glorificazione
ed è espresso con il verbo greco hypsoùn, "innalzare elevare",
e con immagini di ascensione verso l'alto.
Basterebbe citare tre frammenti giovannei: "Come Mosè
innalzò nel deserto il serpente, cosi bisogna che sia innalzato
il Figlio dell'uomo... Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo,
allora saprete che Io Sono [Nome Divino]...
Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me"
(3, 14; 8, 28; 12, 32). Oppure basterebbe rievocare
il racconto dell'ascensione al cielo ribadito da Luca
nella finale del suo Vangelo (24, 50-53) e in apertura
alla sua seconda opera, gli Atti degli Apostoli (1, 6-12).
Il senso del linguaggio è chiaro. Con la "risurrezione"
si affermava la continuità tra il Gesù storico e il Cristo risorto;
con l' "esaltazione" si celebra la gloria divina del Risorto
e la novità del suo status.
Venendo in mezzo a noi, Gesù è divenuto in tutto simile a noi;
con la morte egli conclude la sua parabola storica, ma è "esaltato",
cioè rientra nel mondo divino a cui appartiene come Figlio di Dio,
attirando a sé quell'umanità che egli aveva assunto incarnandosi
e morendo per condurla alla gloria.
Questo è nitidamente dichiarato nell'inno che Paolo incastona
nella sua Lettera ai Filippesi (2, 6-11): "Cristo, pur essendo
di natura divina, spogliò se stesso assumendo la condizione
di servo (...), facendosi obbediente sino alla morte
e alla morte di croce. Per questo Dio lo ho esaltato
e gli ha dato un nome che è sopra ogni altro nome (...)
Così che nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra".
L'ascensione-esaltazione-innalzamento non è, quindi, da concepire
in termini materialistici o "astronautici", ma secondo categorie
metafisiche e teologiche: fra l'altro, in tutte le culture il cielo
è l'area della divinità perché trascende l'orizzonte terreno,
è il simbolo della superiorità e diversità di Dio rispetto all'uomo.
Quanto accade nella risurrezione di Cristo è, dunque, un evento
complesso, accuratamente rappresentato dai Vangeli.
È un evento che si radica nel tempo e nello spazio, è cioè
nella morte e in una tomba, e che perciò ammette
una verificabilità storica; ma esso fiorisce nell'eterno
e nel divino, ed è per questo che esige un'analisi nella fede
e nella teologia. Nella sua sostanza la Pasqua di Cristo
è una realtà trascendente e, come tale supera la pura
verifica storica.
Ma ha una risonanza efficace anche nella storia e nello spazio
ove rimangono tracce e segni, per cui ha una sua legittimità
anche un'investigazione di taglio storiografico.
Ora comprendiamo perché gli evangelisti si sono rifiutati
di ridurre quello che avviene al sepolcro di Cristo' entro
i confini di una rianimazione di cadavere e siano invece
ricorsi a linguaggi più profondi e simbolici.
Nelle sue Lettere di Nicodemo (1951) lo scrittore polacco
cattolico Jan Dobraczynski, morto nel 1994, fa una considerazione
che potremmo porre a suggello del nostro particolarissimo
e limitato itinerario nell'orizzonte pasquail cristiano:
"Vi sono misteri nei quali bisogna avere il coraggio di gettarsi,
per toccare il fondo, come ci gettiamo nell'acqua certi che essa
si aprirà sotto di noi. Non ti è mai parso che vi siano delle cose
alle quali bisogna prima credere per poterle capire?".
I racconti evangelici pasquali sono prima di tutto testi di fede
e, proprio per questa via, aprono la ricerca di una comprensione
che sia anche razionale e storica.
Il credere e il comprendere s'intrecciano in modo complesso
e delicato e costituiscono la struttura fondamentale della teologia
cristiana. Un filosofo, il gesuita Xavier Tilliette nella sua opera
la Settimana Santa dei filosofi (1922), scriveva che "la filosofia
deve attestarsi alla soglia delle apparizioni pasquali, al sabato santo.
Essa non deve testimoniare la Gloria. Occorre mantenere castamente
la frontiera, diceva il filosofo Schelling".
Certo, la filosofia e la storiografia non possono appropriarsi
delle vie della grazia e della fede. Tuttavia questo non impedisce
alla fede di agganciarsi alle vie della ragione e alla ragione
di guardar oltre le sue frontiere. Scriveva Agostino:
"Chiunque crede pensa e pensando crede...
La fede se non è pensata è nulla"
(De praedestinatione sanctorum 2, 5).
DANTE PASTORELLI
L'articolo di Ravasi già all'atto della pubblicazione suscitò reazioni.
Non c'è verità e non c'è eresia esplicitamente pronunciate,
ma ambiguità ed espressioni oppostamente interpretabili.
Tipico stile da modernista.
Come diceva S. Pio X: leggete una pagina e trovate
l'affermazione verace, girate la pagina e trovate l'eresia.
Ricordo le pagine della Nuova Esegesi in cui mons. Spadafora
menava fendenti su Ravasi biblista, che addirittura,
a proposito del frammento 7Q5, parlava di "poche lettere
ebraiche" per successivamente correggersi.
Ravasi era sodale all'Istituto Biblico di Segalla, secondo il quale
S. Giovanni non scrisse alcun Vangelo, di Byrne per cui Lazzaro
non fu resuscitato e Vanhoje per cui Gesù era un laico.
ambiguità
ambiguità: l'aspetto più pericoloso della tentazione sulla Fede,
proprio perchè l'affermazione ambigua non ostenta il falso
a cui tende, ma lo suggerisce in modo subdolo, tale
da non poter accusata apertamente di menzogna;
come uno che dice: "Qui l'ho detto e qui lo nego".
Il marcio sta proprio nell'essere ambigua,
come la lingua biforcuta del serpente antico.
Rileggere l'ottimo richiamo fatto da Pastorelli:
Non c'è verità e non c'è eresia esplicitamente
pronunciate, ma ambiguità ed espressioni
oppostamente interpretabili.
Tipico stile da modernista.
Come diceva S. Pio X: leggete una pagina
e trovate l'affermazione verace, girate la pagina
e trovate l'eresia.
Il verme della mela avvelenata del modernismo è precisamente
l'ambiguità, o ambivalenza, che già si mette al servizio di Satana,
usando l' efficace metodo di persuasione occulta, e rifiutando
per principio, il SI' SI' , NO NO , raccomandato da Nostro Signore
a chi vuol seguire solo la Verità, nient'altro che la Verità.
Ravasi... il pupillo di Martini
Mons. Ravasi era il "puledro vincente" della scuola di Martini,
anche in esegesi biblica.
Nella Scrittura non c'è più nulla di sicuro....
ma nulla è apertamente negato.....
giovanni
Ravasi leader dell'apostasia nella nostra Chiesa:uomo pericoloso.
Altro che futuro sucessore del Tetta, sara' meglio spedirlo
oltre Pantelleria e vestito da semplice prete: SUBITO
Cajétan
"piccoli scèm-born crescono"!
Santità, abbia pazienza.. ci ha chiesto di pregare perchè
non indietreggi di fronte ai lupi. Noi facciamo quel che possiamo..
Voglia, la Santità Vostra, almeno cercare di non promuoverli.
Ci vuol veramente lasciare in mano a questi figuri,
che stanno alla Verità come un giocatore alle tre carte.......?
adesso capisco
.....perchè parlando con una mia parrocchiana, siccome io contestavo
la validità delle riforme post-conciliari, causa di grande confusione
dottrinale e degrado della vera Fede, quella mi ha risposto:
"ma che dici, vuoi sminuire la grande fioritura di fede, sviluppo
di conoscenza e comprensione della Parola! specialmente pensa
a tante persone dotte e illuminate come Ravasi, grande dotto biblista!"....
e continuando nella discussione, sullo stesso filo d i argomenti, mi fa:
"Per esempio, tra le grandi aperture di cui siamo grati al Concilio
io ho capito anche questo: che nella Chiesa di oggi
dobbiamo rivalutare la grandezza di Lutero !....."
http://tinyurl.com/ag6qbj
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"Quelli [il riferimento è ai modernisti, ma va bene pure per
gli eretici, i paraeretici, i "cattolici" adulti e adulterati,
gli pseudo-papi, gli anti-papi, i rosicanti per non essere
diventati papi, ecc.] vogliono che li si tratti con olio,
sapone e carezze.
Bisogna invece battersi a pugni.
In un duello non si contano, non si misurano i colpi:
si colpisce come si può!
La guerra non si fa con la carità: è una lotta, un duello.
Come se Nostro Signore non fosse stato terribile, non avesse
dato l'esempio anche in questo.
Come li ha trattati, i filistei, i seminatori di errore, i lupi vestiti
da agnello, i mercanti: li ha cacciati a colpi di staffile!"
Papa Giuseppe Sarto-San Pio X.
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